dipendenze
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Taranis ha scritto: Mi piacerebbe sapere come interpreta la vicenda narrata da Elena uno sciamano Shuar.
Condivido questa visione delle cose...Tsunki ha scritto: Uno sciamano Shuar direbbe che il gatto probabilmente è l'artefice di tutto e che Elena ha avuto solo il ruolo di non fare resistenza.
Il gattone in questione è tutto fuorchè un segnalibro.. e io, pur essendo una persona cocciuta, non ho esattamente un intento inflessibile
E ha ragione Corvoblu è stato un (piccolo) sacrificio per amore...
Elena
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Una curisità sulla "spiritualità" delle dipendenze.
Oggi la stragrande maggioranza della gente del mondo occidentale - consumistico, materialistico, spiritualmente miope e, perciò, insicuro e avido - soffre di dipendenza dal cibo.
Mangiamo troppo, e ancora nn ci basta.
Mangiamo schifezze di ogni genere, e lo spirito ne paga le conseguenze, risulta indebolito piuttosto che rafforzato da qllo che dovrebbe essere nutrimento ma, in realtà, è solo un surrogato, e cioè rifiuto.
Mangiamo spazzatura, diventando spazzatura. O, perlomeno, gli siamo molto vicini.
Mangiamo per consolarci, per sedare il nervosismo (che tra l'altro si accentua ancor più cn qllo che mangiamo - zuccheri, grassi e compagnia bella).
Mangiamo per divertimento, per passatempo, per sport.
Mangiamo per avere compagnia o per accompagnare la visione di un film.
Nn mangiamo mai PER MANGIARE, PER NUTRIRCI.
Dalla prima poppata il significato del cibo viene associato a concetti come protezione, fiducia, cameratismo e, inevitabilmente, suscita emozioni piacevoli e rasserenanti.
Qste emozioni tentiamo di rivevere qndo ci manca il terreno sotto i piedi, qndo avvertiamo carenza di affettività, qndo sentiamo il vuoto che permea le nostre "relazioni" (virgolettato perchè tutto sono fuorchè relazioni), persino con le persone più intime, qndo ci guardiamo attorno e tutto sembra grigio e morto e colmiamo qsto senso di inanimità cn la rassicurante "poppata" (o cn il rassicurante shopping compulsivo o cn la rassicurante partita a pocker e via dicendo).
In un bel libro-intervista di Daniel Goleman al Dalai Lama, Jon Kabat-Zinn, direttore del Center for Mindfulness in Medicine, Health Care, and Society alla University of Massachusetts Medical School, diceva: "Mangiare è una delle cose che gli occidentali fanno più inconsapevolmente d qlsiasi altra. Molti dei nostri pazienti hanno problemi di sovrappeso: mangiano perchè sono ansiosi o depressi, spinti da ragioni emotive - non mangiano perchè il loro corpo è affamato, ma perchè la loro mente lo è. Qsto tipo di appetito che nasce dall'avidità nn li soddisfa mai e non produce alcuna saggezza. Attraverso la consapevolezza del cibo, cerchiamo di sviluppare una nuova percezione delle cose."
La consapevolezza, e non solo del cibo, è qllo che ci manca.
Oggi qllo che conta è sapere. Ma non essere consapevoli.
Qsta è la norma.
Cosa è in termini sciamanici la consapevolezza?
Cosa è che ci manca, con riferimento allo spirito, quando avvertiamo il bisogno di fumare una sigaretta, bere un bicchierino, comprare o mangiare tutto qllo che c passa sotto le mani, fare sesso di continuo, non staccarsi mai dal pc, giocare d'azzardo, e chi più ne ha più ne metta ?
Non credo sia csì facile da spiegare ( in termini di mancanza o presenza, cioè), ma che significa ESSERE CONSAPEVOLI?
Oggi la stragrande maggioranza della gente del mondo occidentale - consumistico, materialistico, spiritualmente miope e, perciò, insicuro e avido - soffre di dipendenza dal cibo.
Mangiamo troppo, e ancora nn ci basta.
Mangiamo schifezze di ogni genere, e lo spirito ne paga le conseguenze, risulta indebolito piuttosto che rafforzato da qllo che dovrebbe essere nutrimento ma, in realtà, è solo un surrogato, e cioè rifiuto.
Mangiamo spazzatura, diventando spazzatura. O, perlomeno, gli siamo molto vicini.
Mangiamo per consolarci, per sedare il nervosismo (che tra l'altro si accentua ancor più cn qllo che mangiamo - zuccheri, grassi e compagnia bella).
Mangiamo per divertimento, per passatempo, per sport.
Mangiamo per avere compagnia o per accompagnare la visione di un film.
Nn mangiamo mai PER MANGIARE, PER NUTRIRCI.
Dalla prima poppata il significato del cibo viene associato a concetti come protezione, fiducia, cameratismo e, inevitabilmente, suscita emozioni piacevoli e rasserenanti.
Qste emozioni tentiamo di rivevere qndo ci manca il terreno sotto i piedi, qndo avvertiamo carenza di affettività, qndo sentiamo il vuoto che permea le nostre "relazioni" (virgolettato perchè tutto sono fuorchè relazioni), persino con le persone più intime, qndo ci guardiamo attorno e tutto sembra grigio e morto e colmiamo qsto senso di inanimità cn la rassicurante "poppata" (o cn il rassicurante shopping compulsivo o cn la rassicurante partita a pocker e via dicendo).
In un bel libro-intervista di Daniel Goleman al Dalai Lama, Jon Kabat-Zinn, direttore del Center for Mindfulness in Medicine, Health Care, and Society alla University of Massachusetts Medical School, diceva: "Mangiare è una delle cose che gli occidentali fanno più inconsapevolmente d qlsiasi altra. Molti dei nostri pazienti hanno problemi di sovrappeso: mangiano perchè sono ansiosi o depressi, spinti da ragioni emotive - non mangiano perchè il loro corpo è affamato, ma perchè la loro mente lo è. Qsto tipo di appetito che nasce dall'avidità nn li soddisfa mai e non produce alcuna saggezza. Attraverso la consapevolezza del cibo, cerchiamo di sviluppare una nuova percezione delle cose."
La consapevolezza, e non solo del cibo, è qllo che ci manca.
Oggi qllo che conta è sapere. Ma non essere consapevoli.
Qsta è la norma.
Cosa è in termini sciamanici la consapevolezza?
Cosa è che ci manca, con riferimento allo spirito, quando avvertiamo il bisogno di fumare una sigaretta, bere un bicchierino, comprare o mangiare tutto qllo che c passa sotto le mani, fare sesso di continuo, non staccarsi mai dal pc, giocare d'azzardo, e chi più ne ha più ne metta ?
Non credo sia csì facile da spiegare ( in termini di mancanza o presenza, cioè), ma che significa ESSERE CONSAPEVOLI?
Grazie Francesca per il tuo post che, pur non essendo breve, è chiaro e lineare.
Esiste un topic ad hoc sulla consapevolezza, in cui io ho davvero difficoltà a capire di cosa si stia parlando. Il tuo post è invece piacevolmente chiaro.
La consapevolezza è uno dei punti focali e fondamentali nelle vie spirituali. Senza consapevolezza non si va da nessuna parte.
Per me uno degli aspetti di base è quello di essere presenti a noi stessi quando agiamo, quando pensiamo, quando parliamo, quando sognamo (questo è più difficile... ma non impossibile).
La consapevolezza è qualcosa che va perseguito ed "allenato" giorno dopo giorno, a partire dalle piccole cose.
Il punto è iniziare a comprendere che avvertiamo un bisogno (fumare, bere, mangiare, comprare, ecc). Spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Poi potremo anche cercare di capire cosa ci manca e cosa ci spinge a fumare, mangiare, comprare, bere....
e questo è un lungo discorso...
Animo y fuerza
Yamà-nùa
Esiste un topic ad hoc sulla consapevolezza, in cui io ho davvero difficoltà a capire di cosa si stia parlando. Il tuo post è invece piacevolmente chiaro.
La consapevolezza è uno dei punti focali e fondamentali nelle vie spirituali. Senza consapevolezza non si va da nessuna parte.
Per me uno degli aspetti di base è quello di essere presenti a noi stessi quando agiamo, quando pensiamo, quando parliamo, quando sognamo (questo è più difficile... ma non impossibile).
La consapevolezza è qualcosa che va perseguito ed "allenato" giorno dopo giorno, a partire dalle piccole cose.
Il punto è iniziare a comprendere che avvertiamo un bisogno (fumare, bere, mangiare, comprare, ecc). Spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Poi potremo anche cercare di capire cosa ci manca e cosa ci spinge a fumare, mangiare, comprare, bere....
e questo è un lungo discorso...
Animo y fuerza
Yamà-nùa
Elena
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Ciao Francesca. Da come metti le cose, sembra che la consapevolezza sia la soluzione ai problemi che portano alle dipendenze, ma io credo che la consapevolezza sia solo il primo passo, e neanche tanto difficile in relazione al secondo, che è quello di cambiare atteggiamenti rispetto alla propria vita: questo sì è veramente difficile! Compiere azioni di cambiamento porta fatica e sofferenza... Compiere azioni di cambiamento protratte a lungo nel tempo (e questa persistenza nel tempo è necessaria per ottenere dei cambiamenti reali e duraturi nella propria vita) porta moltissima fatica e moltissima sofferenza.francesca ha scritto:Una curisità sulla "spiritualità" delle dipendenze.
Oggi la stragrande maggioranza della gente del mondo occidentale - consumistico, materialistico, spiritualmente miope e, perciò, insicuro e avido - soffre di dipendenza dal cibo.
Mangiamo troppo, e ancora nn ci basta.
Mangiamo schifezze di ogni genere, e lo spirito ne paga le conseguenze, risulta indebolito piuttosto che rafforzato da qllo che dovrebbe essere nutrimento ma, in realtà, è solo un surrogato, e cioè rifiuto.
Mangiamo spazzatura, diventando spazzatura. O, perlomeno, gli siamo molto vicini.
Mangiamo per consolarci, per sedare il nervosismo (che tra l'altro si accentua ancor più cn qllo che mangiamo - zuccheri, grassi e compagnia bella).
Mangiamo per divertimento, per passatempo, per sport.
Mangiamo per avere compagnia o per accompagnare la visione di un film.
Nn mangiamo mai PER MANGIARE, PER NUTRIRCI.
Dalla prima poppata il significato del cibo viene associato a concetti come protezione, fiducia, cameratismo e, inevitabilmente, suscita emozioni piacevoli e rasserenanti.
Qste emozioni tentiamo di rivevere qndo ci manca il terreno sotto i piedi, qndo avvertiamo carenza di affettività, qndo sentiamo il vuoto che permea le nostre "relazioni" (virgolettato perchè tutto sono fuorchè relazioni), persino con le persone più intime, qndo ci guardiamo attorno e tutto sembra grigio e morto e colmiamo qsto senso di inanimità cn la rassicurante "poppata" (o cn il rassicurante shopping compulsivo o cn la rassicurante partita a pocker e via dicendo).
In un bel libro-intervista di Daniel Goleman al Dalai Lama, Jon Kabat-Zinn, direttore del Center for Mindfulness in Medicine, Health Care, and Society alla University of Massachusetts Medical School, diceva: "Mangiare è una delle cose che gli occidentali fanno più inconsapevolmente d qlsiasi altra. Molti dei nostri pazienti hanno problemi di sovrappeso: mangiano perchè sono ansiosi o depressi, spinti da ragioni emotive - non mangiano perchè il loro corpo è affamato, ma perchè la loro mente lo è. Qsto tipo di appetito che nasce dall'avidità nn li soddisfa mai e non produce alcuna saggezza. Attraverso la consapevolezza del cibo, cerchiamo di sviluppare una nuova percezione delle cose."
La consapevolezza, e non solo del cibo, è qllo che ci manca.
Oggi qllo che conta è sapere. Ma non essere consapevoli.
Qsta è la norma.
Cosa è in termini sciamanici la consapevolezza?
Cosa è che ci manca, con riferimento allo spirito, quando avvertiamo il bisogno di fumare una sigaretta, bere un bicchierino, comprare o mangiare tutto qllo che c passa sotto le mani, fare sesso di continuo, non staccarsi mai dal pc, giocare d'azzardo, e chi più ne ha più ne metta ?
Non credo sia csì facile da spiegare ( in termini di mancanza o presenza, cioè), ma che significa ESSERE CONSAPEVOLI?
Le persone in genere non vogliono assumersi questi stati dolorosi. E così rimangono ciò che sono (malati, tante volte "consapevoli" della propria malattia, davanti alla televisione con le patatine o la nutella).
Ciao.
Andrea
Ciao Francesca, descrivi una realtà della società in cui tutti viviamo. E' importante essere consapevole di dove ci troviamo. Ma per cambiare devi per forza andartene dalla nostra società e trovarne un'altra che sia nettamente diversa e si basi su altri valori. Diversamente non riuscirai mai a cambiare. Bisogna tagliare i fili che ci legano alle paure,paranoie, insicurezze degli altri e al loro posto trovare degli Alleati che permettono la realizzazione dei nostri cambiamenti. Ed è solo così che si può cambiare facilmente e in breve tempo .
MANTIDE
Secondo me quello che dice andrea può essere vero. Ma può essere rovesciato: se in pratica posso fare a meno di tante cose, e chi come lui segue una via lo fa, con più o meno sofferenza ma si può fare, non è detto che senza adeguato allenamento e insegnamento sia in grado di arrivare alla consapevolezza. Alla consapevolezza che riguarda tutto il mio essere e che credo che sia l'esatta percezione di quello che sto facendo e del bisogno che sto soddisfando.
Anche quello che dice Mantide è vero, ma anche questo può essere rovesciato. Anche io tempo fa credevo che bastasse lasciare tutto per cambiare. Anche Gesù lo diceva e io l'ho anche fatto, con una tremenda sofferenza me ne sono andata. Quando ho incontrato alcuni mesi dopo il mio professore di religione (un illuminato professore) mi disse: non penserai che il 'lascia tutto' di Gesù sia solo questo? sia solo andarsene? Devi cambiare radicalmente il modo di pensare, altrimenti non serve.
Infatti ocme ha detto anche il nostro sciamano è condizione necessaria ma non sufficiente. Certo, come dice anche Mantide, decisamente necessaria.
Anche quello che dice Mantide è vero, ma anche questo può essere rovesciato. Anche io tempo fa credevo che bastasse lasciare tutto per cambiare. Anche Gesù lo diceva e io l'ho anche fatto, con una tremenda sofferenza me ne sono andata. Quando ho incontrato alcuni mesi dopo il mio professore di religione (un illuminato professore) mi disse: non penserai che il 'lascia tutto' di Gesù sia solo questo? sia solo andarsene? Devi cambiare radicalmente il modo di pensare, altrimenti non serve.
Infatti ocme ha detto anche il nostro sciamano è condizione necessaria ma non sufficiente. Certo, come dice anche Mantide, decisamente necessaria.
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@ Kaya
"Mangiamo e ci riempiamo perchè così siamo sicuri di esistere"...
che bella qsta frase kaya...
@ Elena
grazie a te per la tua rsp
La consapevolezza, per qnto abbia capito qndi, dovrebbe corrispondere, cm dice nanna, alla presa di coscienza della propria situazione attuale tramite l'esatta percezione di quello che sto facendo e del bisogno che sto soddisfando.
Io lo chiamerei SENTIRE... inteso in senso lato come percezione cosciente, presente.
In rsp ad Andrea, aggiungo che il SENTIRE, inevitabilmente, porta ad un cambiamento....un cambiamento di atteggiamento che è stupendamente naturale se, sottolineo, i tempi sn maturi.
Mi spiego meglio: nn necessariamente il cambiamento porta sofferenza; esso porta sofferenza qndo nn lo si accetta, qndo rimaniamo radicati nelle nostre convinzioni e non vogliamo accettare il distacco sotteso alle leggi dell'impermanenza, che regolano e consentono il divenire del Tutto...
Siamo attaccati ad un sacco d false credenze, siamo possessivi nei confronti delle cose, delle persone, persino nei confronti dei nostri sentimenti, dei nostri sbagli, dei sensi di colpa, ci attacchiamo alle emozioni, sia qlle negative che positive, ci attacchiamo al passato, ad un ruolo, ad una etichetta, al pensiero degli altri che ci condiziona enormemente... Siamo attaccati alle false certezze perchè le usiamo come succedaneo della nostra mancanza di spirito.
Vogliamo possedere tutto, e qsto abbatte la nostra vitalità, l'eccessivo controllo ostacola il movimento, lo spirito, inteso cm forza primigenia motrice che permea ogni cosa.
Concordo cn Andrea qndo dice che "le persone in genere non vogliono assumersi questi stati dolorosi. E così rimangono ciò che sono (malati, tante volte "consapevoli" della propria malattia, davanti alla televisione con le patatine o la nutella)".
La nostra incapacità (o disabitudine??) ad ESSERE CONSAPEVOLI deriva dal fatto di nn voler provare il dolore del distacco, ma nel distacco, se è maturo, non c' è dolore...non so mi fa pensare ad un frutto che cade dall'albero qndo è giunto il momento, non prova dolore... NON SERVE continuare a stare legati all'albero, è SEMPLICEMENTE VENUTO IL TEMPO d diventare qlcs'altro...
La nostra resistenza al cambiamento è prorporzionale all' attaccamento a quello che siamo convinti di essere...al nostro ego in definitiva : siamo possessivi perchè siamo SOLI, qsto penso sia la nostra gravissima pecca, la nostra società è costruita per renderci soli, per individualizzarci dal Tutto...è kiaro che avvertiamo un vuoto d senso qndo non riusciamo a soddisfare le aspettative, perchè siamo soli e dobbiamo combattere contro il mondo (nn facendo parte di esso) e nn a favore del mondo.
"Mangiamo e ci riempiamo perchè così siamo sicuri di esistere"...
che bella qsta frase kaya...
@ Elena
grazie a te per la tua rsp
La consapevolezza, per qnto abbia capito qndi, dovrebbe corrispondere, cm dice nanna, alla presa di coscienza della propria situazione attuale tramite l'esatta percezione di quello che sto facendo e del bisogno che sto soddisfando.
Io lo chiamerei SENTIRE... inteso in senso lato come percezione cosciente, presente.
In rsp ad Andrea, aggiungo che il SENTIRE, inevitabilmente, porta ad un cambiamento....un cambiamento di atteggiamento che è stupendamente naturale se, sottolineo, i tempi sn maturi.
Mi spiego meglio: nn necessariamente il cambiamento porta sofferenza; esso porta sofferenza qndo nn lo si accetta, qndo rimaniamo radicati nelle nostre convinzioni e non vogliamo accettare il distacco sotteso alle leggi dell'impermanenza, che regolano e consentono il divenire del Tutto...
Siamo attaccati ad un sacco d false credenze, siamo possessivi nei confronti delle cose, delle persone, persino nei confronti dei nostri sentimenti, dei nostri sbagli, dei sensi di colpa, ci attacchiamo alle emozioni, sia qlle negative che positive, ci attacchiamo al passato, ad un ruolo, ad una etichetta, al pensiero degli altri che ci condiziona enormemente... Siamo attaccati alle false certezze perchè le usiamo come succedaneo della nostra mancanza di spirito.
Vogliamo possedere tutto, e qsto abbatte la nostra vitalità, l'eccessivo controllo ostacola il movimento, lo spirito, inteso cm forza primigenia motrice che permea ogni cosa.
Concordo cn Andrea qndo dice che "le persone in genere non vogliono assumersi questi stati dolorosi. E così rimangono ciò che sono (malati, tante volte "consapevoli" della propria malattia, davanti alla televisione con le patatine o la nutella)".
La nostra incapacità (o disabitudine??) ad ESSERE CONSAPEVOLI deriva dal fatto di nn voler provare il dolore del distacco, ma nel distacco, se è maturo, non c' è dolore...non so mi fa pensare ad un frutto che cade dall'albero qndo è giunto il momento, non prova dolore... NON SERVE continuare a stare legati all'albero, è SEMPLICEMENTE VENUTO IL TEMPO d diventare qlcs'altro...
La nostra resistenza al cambiamento è prorporzionale all' attaccamento a quello che siamo convinti di essere...al nostro ego in definitiva : siamo possessivi perchè siamo SOLI, qsto penso sia la nostra gravissima pecca, la nostra società è costruita per renderci soli, per individualizzarci dal Tutto...è kiaro che avvertiamo un vuoto d senso qndo non riusciamo a soddisfare le aspettative, perchè siamo soli e dobbiamo combattere contro il mondo (nn facendo parte di esso) e nn a favore del mondo.
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Facendo un discorso personale....
mi è capitato qndo ho cambiato atteggiamento rspetto a qlcosa, ad esempio rispetto al criticare continuamente colui che mi giudicava per le mie scelte (es. veganismo) cosa che produceva rancore, risentimento.... ho notato che proprio il fatto di rimanere attaccati a convinzioni stantie (la pretesa infantile che tutti devono pensarla come te) era la fonte della sofferenza e ostacolava la mia maturazione...
In qsto caso la presa di coscienza che l'altro è diverso da me, ha una sua storia, sue credenze più o meno sperimentate o tramandate dai suoi genitori e assunte cm verità rivelate, e sopratt la consapevolezza che tempo prima io fossi simile a lui, mi ha portato ad accettare l'altro o a permettergli d sbagliare perchè, a ben vedere, sarebbe stato come se tempo fà qualcuno mi avesse obbligato a credere che qualcosa fosse meglio di un altra contro la mia volontà...
ESSERE nell'errore è un agrande scuola di vita.
La presa di coscienza, la consapevolezza è terapeutica in sè.
Qndo si sa dv si è, è più facile capire da che parte si vuole andare.
La consapevolzza porta a vedere le cose chiaramente, e a distinguere ciò che porta crescita, maturazione, positività, da ciò che non lo porta, da ciò che ci rinchiude, che ci fa rimanere piccoli e insicuri attaccati alla coperta cn il pollice in bocca cm Linus... Magari può spaventare, può disorientare all'inizio, destabilizzare le fondamenta.
Ma qndo le fondamenta sn malate è inevitabile che qsto avvenga...
mi è capitato qndo ho cambiato atteggiamento rspetto a qlcosa, ad esempio rispetto al criticare continuamente colui che mi giudicava per le mie scelte (es. veganismo) cosa che produceva rancore, risentimento.... ho notato che proprio il fatto di rimanere attaccati a convinzioni stantie (la pretesa infantile che tutti devono pensarla come te) era la fonte della sofferenza e ostacolava la mia maturazione...
In qsto caso la presa di coscienza che l'altro è diverso da me, ha una sua storia, sue credenze più o meno sperimentate o tramandate dai suoi genitori e assunte cm verità rivelate, e sopratt la consapevolezza che tempo prima io fossi simile a lui, mi ha portato ad accettare l'altro o a permettergli d sbagliare perchè, a ben vedere, sarebbe stato come se tempo fà qualcuno mi avesse obbligato a credere che qualcosa fosse meglio di un altra contro la mia volontà...
ESSERE nell'errore è un agrande scuola di vita.
La presa di coscienza, la consapevolezza è terapeutica in sè.
Qndo si sa dv si è, è più facile capire da che parte si vuole andare.
La consapevolzza porta a vedere le cose chiaramente, e a distinguere ciò che porta crescita, maturazione, positività, da ciò che non lo porta, da ciò che ci rinchiude, che ci fa rimanere piccoli e insicuri attaccati alla coperta cn il pollice in bocca cm Linus... Magari può spaventare, può disorientare all'inizio, destabilizzare le fondamenta.
Ma qndo le fondamenta sn malate è inevitabile che qsto avvenga...
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Certo non hai più la pretesa che gli altri la pensino come te, ma hai la sicurezza che le convinzioni altrui siano sbagliate, quelle di tutti tranne... ovviamente le tue.francesca ha scritto: In qsto caso la presa di coscienza che l'altro è diverso da me, ha una sua storia, sue credenze più o meno sperimentate o tramandate dai suoi genitori e assunte cm verità rivelate, e sopratt la consapevolezza che tempo prima io fossi simile a lui, mi ha portato ad accettare l'altro o a permettergli d sbagliare perchè, a ben vedere, sarebbe stato come se tempo fà qualcuno mi avesse obbligato a credere che qualcosa fosse meglio di un altra contro la mia volontà...
Forse è tolleranza, ma una tolleranza molto supponente. In tutta franchezza preferisco di gran lunga chi è intollerante e mi attacca perché non la penso come lui o lei.
ánimo y fuerza
Tsunki
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No no Tsunki, effettivamente nn sono stata precisa e sono stata fraintesa.
In generale ed in senso lato qndo parlavo del fatto di accettare l'altro o permettergli di sbagliare nn partivo dal presupposto che io fossi portatrice sana di verità!!!
Nn lo penso assolutamente!!
Semplicemente come io ho avuto la possibilità di sbagliare (e questa convinzione può solo avvenire col senno di poi e può essere solo sogettiva!!!) o di dissentire, anche l'altro deve poterlo fare...
In generale ed in senso lato qndo parlavo del fatto di accettare l'altro o permettergli di sbagliare nn partivo dal presupposto che io fossi portatrice sana di verità!!!
Nn lo penso assolutamente!!
Semplicemente come io ho avuto la possibilità di sbagliare (e questa convinzione può solo avvenire col senno di poi e può essere solo sogettiva!!!) o di dissentire, anche l'altro deve poterlo fare...